Agli inizi degli anni 30, Schiap, come la chiamavano,
aveva messo a punto una sua silhouette femminile che corrispondeva allo stile e
all’ideale di donna che si stava facendo strada dopo la crisi del 1929. La
ricchezza tornò ad essere un bene raro, che si poteva comunicare, attraverso il
lusso e l’estrositа. Gli abiti, dovevano proteggere la
donna dai contrattacchi del maschio, di cui stava sfidando superioritа e di cui stava invadendo il territorio. Gli abiti di
Elsa, riflettevano un’intera rivoluzione sociale: difensiva di giorno ed
estremamente seducente di sera.
Il suo matrimonio era stata una delusione, questo la portò
a pensare che la nuova donna degli anni 30 non doveva avere fiducia negli
uomini. L’universo femminile cominciava a costituire un universo autonomo dove
l’uomo era il nemico da fronteggiare per farsi spazio nel lavoro. Nacque così
negli anni 30, la silhouette a “grattacielo”: vestiti muniti di imbottiture,
dalle linee dritte e verticali e dalle spalle larghe e squadrate. Le
decorazioni, fin da subito, assunsero un significato ambiguo: da un lato
sembravano sottolineare la femminilitа
dell’indumento, dall’altro la loro collocazione, esaltava l’effetto di
armatura.
La Schiaparelli conquistò il comfort senza perdere la
femminilitа. Ad una struttura semplificata,
affiancò una fantasia sfrenata, che si espresse con
decorazioni e accessori.
I modelli ironici, provocanti, stravaganti e fantasiosi di Schiaparelli
facevano un grande contrasto a quelli vestiti e costumi eleganti, più semplici e rigorose che proponeva Coco
Chanel. Incontrario di lei, Schiaparelli non aveva in priviligenza l’eleganza ,
credendo che qualsiasi donna ha questa qualità dalla nascita. Mischiava capi sportivi con abbigliamento formale
quasi 50 anni prima che altri designer osassero farlo.
Già negli anni
precedenti aveva osato come nessuno aveva mai fatto prima, rifiutandosi di
seguire i metodi e i contenuti tradizionali dell’alta moda; voleva che le donne
fossero se stesse e che comunicassero agli altri la propria individualità. La
forma del lusso che offriva alle sue clienti era quella di non seguire le
regole del senso comune, anche nell’aspetto.
Un grande significato per la storia della moda avevano i motivi egiziani
e le maniche trapezoidali, lanciate da
Schiaparelli, che poi diventeranno una
delle caratteristiche dello stile dopo guerra “new look”.
Elsa Schiaparelli si ispirava al Surrealismo,
al Dadaismo o alle arti africane.
Amante dell’arte in tutte le sue forme, Elsa collaborò con Jean Cocteau su
una giacca e un cappotto d’inverno, ma la sua collaborazione più famosa è
senz’altro quella con Salvador Dalì.
Insieme crearono il vestito Aragosta nel
1937, il cappello-scarpa che fu inserito nella sua collezione
inverno 1937-38, i vestiti Lacrime e
Scheletro della collezione Circus del 1938.
C’era qualcosa nel suo modo di fare arte che somigliava
alla comunicazione messa in atto dagli artisti dada e surrealisti, conosciuti
prima a Parigi poi a New York. Si rivolse a due surrealisti, Cocteau e Dalì,
per capire attraverso due diversi metodi quanto “il linguaggio dell’inconscio”,
che il surrea lismo stava sperimentando, potesse modificare il linguaggio degli
abiti. Dall’autunno dell 1936 le collezzioni si articolarono su doppi filoni,
da un lato la stilista si concentrava sull’elaborazioni di particolari temi,
attorno ai quali sviluppare le collezioni, (musica, farfalle, astronomia, ecc.) Ogni collezione aveva un tema,
un’ispirazione specifica, con capi coerenti tra di loro. Così nacque il suo contributo maggiore all’industria della moda moderna: la
sfilata, una presentazione della nuova collezione con arte e
musica, e modelle alte e magre – Elsa credeva in effetti che le figure
androgine fossero più adatte a presentare l’abbigliamento.
Ha creato su disegno
di Dalì e Cocteau, capi in cui dovevano emergere il nuovo rapporto tra abito,
corpo e pulsioni inconsce. Cocteau lavorò sul “doppio” e l’ambiguità. Un
abito portava sulla schiena un tradizionale schema di ambiguità visiva: un
vaso contenente fiori applicati in rilievo, appoggiato su una colonna era
ottenuto attraverso il disegno di sagome di due profili femminili. Il mantello
in tessuto lilla (la versione in collezione era di jersey di seta blu) ha il
dorso ricamato da Lesage su un disegno realizzato appositamente da Jean
Cocteau. Le scanalature della colonna e il vaso/profili sono in filo d’oro, gli
occhi, le bocche e le foglie di seta colorata, le rose di tessuto ad
applicazione. Dalì invece rielaborò il tema del richiamo sessuale nascosto
nella fascinazione vestimentaria. Tradusse in tessuto un soggetto già
sviluppato, quello della Venere di Milo. I cassetti dovevano fare emergere quello
che la più grande bellezza esteriore nasconde dietro una maschera di
serenità. Gli stessi cassetti diventarono tasche con pomello, su un cappotto
presentato in sfilata con un cappello “incoronato”. Verso la fine del ’37
disegnò, per la collezione autunno-inverno, un tailleur nero con le tasche
rifinite da bocche rosse, completate da un cappello a forma di scarpa con il
tacco rosso. Questo abito descriveva chiaramente la fissazione sessuale di
Dalì, che nel cappello rivedeva il simbolo fallico, che veniva completato dal
simbolo sessuale femminile rappresentato dalle bocche decorate sul tailleur.
Questi simboli erotici dichiaravano quello che la forma rigorosa del tailleur
aveva sempre cercato di mascherare. L’artista riprenderà il tema delle labbra,
progettando uno degli arredamenti più kitsch che avesse mai creato, un vero
divano rosa shocking, che venne collocato nella boutique Schiaparelli.